2. La democrazia come processo formativo.
In Danilo Dolci è chiaro che la politica è educazione e l’educazione è politica, in quanto i presupposti della democrazia sono presupposti culturali e non solo istituzionali. La democrazia per Danilo Dolci si forma innanzitutto nella cultura, nella testa delle persone. In Danilo Dolci vi è una
costante tensione a generare quelle condizioni sociali e politiche che permettono ai singoli individui di maturare una consapevolezza del proprio valore, del proprio potere, il bisogno di farsi sentire, di valorizzare la propria esistenza. È un processo che trova in Danilo Dolci una connotazione pedagogica.
I processi di cambiamento sociale che propone nella Sicilia degli anni ’50 e ’60 li definisce di “crescita collettiva”, di crescita di un popolo, non possono essere imposti dall’alto. In questa stessa ottica, contro la mafia Danilo non invoca una soluzione militare o giuridica, ma s’impegna per
erodere il potere che il sistema mafioso acquista sulla base del deficit di iniziativa sia dello Stato che dei singoli. Il suo impegno come educatore è volto a organizzare la speranza di un cambiamento a partire dalla presa di coscienza di ciascuna persona del proprio valore, delle proprie risorse e
quindi delle potenzialità di generare nuove strutture.
Anche quando s’impegna nella creazione del nuovo Centro Educativo per i bambini a Mirto Danilo Dolci lo fa con la consapevolezza di creare un avamposto di una nuova cultura, non certo per erigere l’ennesimo servizio socio-educativo, quanto per creare un’occasione di rivisitazione dei
modelli culturali.
Difatti, dice Danilo Dolci,
1 Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Bari, Laterza, 1974, p. 289.
il Centro Educativo sta diventando, all’interno delle famiglie, un’occasione di ripensamento dei rapporti familiari, una leva per far scricchiolare una parte della vecchia struttura sociale, economica e politica. Il lavoro
che svolgiamo si pone come obiettivo non solo quello di far maturare i ragazzi, ma attraverso di loro penetra nelle famiglie, influisce sulla loro mentalità, creando e portando avanti nuovi fronti democratici.2
Questa frase di Danilo Dolci ci dà l’esatta dimensione del suo lavoro educativo, che non è mai fine a se stesso, ma è sempre volto a realizzare il connubio fra micro- e macrocambiamento, fra il cambiamento culturale del singolo individuo e la nascita di nuove prospettive.
In questo impegno Danilo Dolci si ricollega al lavoro di coscientizzazione degli adulti che contemporaneamente svolge Paulo Freire 3 in Sudamerica.
Sono due personalità che agiscono in parallelo: entrambi fanno della crescita socio-culturale una sfida per cambiare le vecchie strutture,
per scalzare le vecchie barriere e inaugurare processi di trasformazione. Sono degli educatori politici, ma non in senso ideologico.
Danilo Dolci non è portatore di un’ideologia particolare, non si può definirlo né socialista né marxista né anarchico né nient’altro. E in questo si differenzia da Freire, il quale comunque aveva
dei riferimenti ideologici abbastanza precisi: da un lato il personalismo di Mounier, dall’altro il marxismo. In Danilo Dolci troviamo piuttosto la capacità di analizzare con precisione un determinato funzionamento del potere in un certo contesto, utilizzando raramente categorie
standardizzate sotto il profilo della ricerca sociologica. Difatti nei suoi lavori Dolci utilizza lo strumento dell’intervista, che da un punto di vista strettamente sociologico è uno strumento il cui valore scientifico è stato scoperto solo recentemente. All’epoca in cui lo utilizzava Danilo Dolci era
valutato solo in termini politici. In questo caso, come in quello dell’autobiografia, oggi tanto di moda, Danilo Dolci fu dunque ancora una volta un precursore.
Danilo Dolci non è inquadrabile in un’ideologia particolare: il suo lavoro ha sempre uno scopo maieutico, di liberazione, di creazione, il che si ricollega in qualche modo alla sua vena poetica e creativa. In lui possiamo dire che l’educazione si libera definitivamente da ogni sfumatura semantica di controllo, di regolazione. Educare diventa sinonimo di creare, promuovere, liberare.
Purtroppo questa è un’accezione del termine che ancora oggi stenta a decollare, nonostante i grandi
maestri del ’900 (con Dolci, la Montessori, Capitini, Freire, Freinet).
Ancora oggi, quando dobbiamo usare parole come ‘educato’ o ‘maleducato’ ci riferiamo sempre a categorie di giudizio, di controllo, e mai di crescita, di liberazione, di creatività. Forse il contributo
maggiore che Danilo Dolci ha dato sul piano della ricerca pedagogica è questo, che educare è offrire all’altro o all’altra la possibilità di rendere la propria vita più creativa e quindi di concepire la propria esistenza come creazione.
Infine, per rendere omaggio a questo grande del ’900, peraltro uno dei pochi educatori italiani noti, assieme a Maria Montessori, in tutto il mondo, appare utile rileggere una delle sue poesie, una splendida composizione che ci dà l’idea di quello che era il background, l’epistemologia educativa
di Danilo Dolci:
2 Giacinto Spagnoletti (a cura di), Conversazioni con Danilo Dolci, Milano, Arnoldo Mondadori, 1977, p. 141.
3 Ricorre quest’anno anche il decimo anniversario della scomparsa di questo grande educatore.
C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo.
Forse c’è chi si sente soddisfatto, così guidato.
C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo.
C’è pure chi si sente soddisfatto, essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa senza nascondere l’assurdo che è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo,
cercando di essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono.
Ciascuno cresce solo se sognato.
http://www.youtube.com/watch?v=U1LzZyYW1Yo